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Description: The Trevi Fountain
Appendix 2
PublisherYale University Press
https://doi.org/10.37862/aaeportal.00161.015
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Appendix 2: Documents Describing the Trevi by Nicola Salvi
1. Copy of a letter and a memorandum on the sculpture of the Trevi, probably addressed to Cardinal Neri Corsini and dating 1740–41:
Queste mie poche qualunque si sieno riflessioni sulla maniera d’esprimere il gruppo dell’Oceano, soggetto principale da me introdotto nella fontana di Trevi, le quali prendo ardire di porre sotto gli occhi dell’Em.a v.ra, ed alla censura del di lei intendimento, posso giustamente temere, che, condannando in parte a ciò che ha stabilito di fare il Sig.r Fran.co Maini, professore meritevol.te prescelto per l’esecuzione di detto gruppo, sieno per farmi incontrare la taccia, o di presumere troppo di me med.o o delle mie operazioni, o di trascendere in un ardire eccedente, quasi che voglia stendermi oltre i confini che possano convenirmi come Architetto, e porre il piede nell’altrui provincia senza farmi scrupolo d’oppormi ad un Professore di tanto grido per la moltiplicità e perfezione delle di lui opere, io che per così dire appena incomincio adesso ad uscire dalle mie private applicazioni, e dalle mura del mio studio per rendermi cognito al Pubblico. Ma che poteva io fare se il Sig.r Maini per accomodare il gruppo in una maniera, siami lecito il dirlo, in tutto opposta alla verità di una giusta e conveniente espressione si è trovato in necessità di sconvolgermi la situazione de i scogli, e la caduta dell’acqua da i med. che mi era prefissa, e se proposte ad esso da me più volte particolarmente, et in privato tutte quelle ragioni, che potevano giustificare la mia elezzione anno sempre incontrata la disgrazia, non solo di non essere per nulla considerate, per quanto strettamente elle dedotte si fossero da noi, a fondamentali principj, ma neppure rigettate, come tra ragionevoli professori suol farsi con altre riflessioni, a solo fine almeno, se non per altro, di render me istrutto di quegli errori, che averò facilmente in esse potuti commettere, e della preeminenza della scelta del di lui partito, che per certezza forse dal mio ingegno non ho saputa da per me stesso conoscere. Io so che dovendo il Sig.r Maini restare al mondo il debitore perpetuo di tutto ciò che di bene e di male sarà considerato nell’esecuzione del gruppo, deve avere tutta intiera la libertà di operare a seconda della propria intelligenza, e del proprio sapere senza che io possa pretendere in verun conto di limitarlo, ma so ancora altresì, che se mia doverà esser la lode, o il biasimo che sarà per nascere dal buono, o infelice esito dell’acqua per i scogli, deggio anch’io sodisfar me med.o, e non acquetarmi ciecamente alla sola di lui autorità, o di altrui, che egli asserisce aver’approvato il di lui modello, se non allora, che in quella guisa, che ho corroborate io le mie massime con quelle raggioni, che sarò per dire in appresso accompagneranno anch’essi la loro convenevole approvazione o disapprovazione con altre contrarie e convincenti, a fine di persuadermi a mutar parere, e concorrer di buona voglia col loro sentimento, come quello che mi si farà conoscere atto a condurmi alla maggior perfezione della mia opera. Oltre di che mi lusingo di restar facilmente assoluto di qualsivoglia taccia, e libero da qualunque rimprovero, che possa farmisi, se con equità, e con animo disappassionato si farà riflessione, che essendo mio parto, qualunque essa si sia l’idea di tutta l’opera, poteva, e doveva prendermi la libertà di suggerire al Sig.r Maini, quello che io aveva disegnato d’esprimere in essa senza che questo potesse imputarmisi ad una vana pretensione di volerlo circoscrivere nelle proprie operazioni, e che non persuaso da contrarie ragioni non v’ha cosa che potesse assolvermi dal fare ciò che io faccio, trattandosi di un’opera nella quale ha interesse la gloria del mio principe, che con paterna pietà si è degnato di comandarmela, quella dell’Em.a v.ra, alla di cui benignità assistendomi, e proteggendomi, deggio io corrispondere con tutto il trasporto dell’anima. Il decoro della mia Patria che indispensabilmente impegna ogni buon cittadino a procurarlo, per quanto si stendono almeno le proprie forze, ma sopra tutto la mia estimazione, per l’acquisto della quale non deggio trascurar cosa alcuna, e se pur troppa per la tenuità del mio ingegno, che non sa stendersi più oltre sarà quest’opera per uscire difettosa dalle mie mani, non voglio almeno, che mi resti il rammarico d’aver, tacendo, o adulando all’altrui autori tà dissimulata alcuna di quelle cose, che possono renderla più degna di compatimento dinanzi agli occhi del pubblico, e meno esposta all’altrui maledicenza. Ma lasciando a parte queste digressioni, che non altro scopo anno avuto che la premura di giustificare le mie operazioni appresso l’E.ma V.ra, incomincerò a discendere metodicamente al particolare di questa materia e premettendo prima a guisa di puri e veri assiomi, che per tali credo che mi saranno ammessi da chi che sia, tutti quei principi sul fondamento dei quali ho appoggiato il mio raziocinio, passerò in appresso ad esporre il significato, e le passioni che ho avuto in mente doversi riconoscere nelle figure che compongono il gruppo, riserbandomi all’ultimo di esaminare se sia ragionevole tutto ciò, che il Sig.r Maini ha rappresentato nel suo modello.
Condusse ancora in Roma (cioè Marco Agrippa) l’acqua Vergine raccolta nel Campo di Lucullo. È chiamata Vergine, perché, cercando acqua i soldati, una verginella ne insegnò loro alcune vene, le quali, seguitando i cavatori, ritrovarono una gran quantità d’acqua.
Da questo passo di Giulio Frontino nel suo comentario degli acquedotti si cavano i quattro soggetti di scoltura da introdursi nella fontana di Trevi, cioè la statua della Vergine inventrice dell’acqua: Quella di Marco Agrippa condutore della med.a in Roma: il bassorilievo esprimente la sud.a invenzione, e l’altro, che doverà contenerne la condottura.
In quanto alle due statue, parlando in genere, la grandezza di esse, doverà essere quella stessa, che si vede dipinta nella fontana; Et il zoccola che anno sotto i piedi, non si farà maggiore di quello, che ivi comparisce, e se per il sostentamento della statua ve ne bisognasse di più, si farà in maniera, che possa incassarsi nel travertino, che forma pavimento nella nicchia senza che si veda esteriormente.
La statua d’Agrippa averà il ritratto cavato dalle medaglie, che di lui ci remangono. Il suo abito sarà di armatura romana con quegli ornamenti, che possono convenire ad un gran capitano, et ad un genero d’Augusto, pigliandone l’imitazione dalle buone statue, e da bassi rilievi antichi. La sua azzione principale esprimerà l’ordine, o il comando, che da agli artefici, quasi che fossero presenti, di fabbricare gli acquedotti, e di condurre l’acqua in Roma.
L’altra statua della Vergine sarà in sembianza di giovinetta vestita con abito semplice, puro, e confacente ad una verginella rustica ritrovata accidentalmente in campagna, come doveva esser questa di cui si tratta, avvertendo particolarmente di lasciare ogni pensiero della supposta, o sognata Vergine Trivia, che nulla a che fare nel caso nostro. La di lei azzione necessaria sara di additar l’ acqua o al Popolo, come dicesse, ecco l’acqua da me insegnata ai soldati, che or voi qui godete, ovvero ai med.mi soldati, mostrando loro ciò che cercavano.
Il bassorilievo sopra la statua d’Agrippa esprimerà la condottura dell’acqua. Doverà vedervisi l’istesso Agrippa col seguito di qualche soldato, che gli fa corte, il quale ordina ad alcuni artefici la costruzione degli acquedotti. Il campo dell’azione sarà di paese aperto in cui si osserverà porzione de med.i acquedotti già incominciato a fabricarvisi.
L’altro bassorilievo sopra la vergine conterrà l’invenzione dell’acqua. Vi sarà la med.a vergine, che ne addita alcune vene a i soldati, che la cercavano, alcuni dei quali potranno stare in atto d’essersi rivolti a guardarla al cenno di lei; et altri, piegandosi, la raccoglieranno desiderosi di beverla, e tutta l’azzione sarà similmente espressa in campagna aperta.
È necessario riflettersi, che tanto i due scultori che faranno le statue, quanto quelli destinati per i bassirilievi dovrebbero convenire insieme, e mostrarsi vicendevolmente i modelli; i primi per non cadere nella med.a o in simile azzione e far cosa, che conferisca all’armonia di tutta l’opera, et i secondi per stabilire una uniforme et uguale grandezza nelle loro figure, afine, che non sieno talmente diverse che facciano mostruosità in due bassirilievi compagni. (Biblioteca Nazionale Centrale Roma, Fondo Vittorio Emanuele, 580, ff. 43–45v)
2. Copy of Salvi’s description of his design for the Trevi and his explanation of its iconography.
Descrizione del Prospetto della Fontana di Trevi, stesa, e scritta di proprio carattere da Niccola Salvi.
Si vede la nuova Fabrica della Fontana, di cui prendiamo a parlare, situata sopra una delle fronti del Palazzo dell’Eccellentissima Casa Conti, che risguarda la Piazza di Trevi, stendendosi da un angolo all’altro del medesimo in lunghezza di duegento venti palmi, la qual lunghezza divisa in tre porzioni, serve quella di mezzo di estensione di circa cento, e un palmo all’ornamento, che dirremo in appresso, per l’esito, e sgorgo dell’acqua, restando le altre due laterali arricchite di fenestre, et altri ornamenti proprj per l’uso di Palazzo, a cui servono, e per un conveniente, e proporzionato accordo alla Parte Principale a cui formano fianco.
Nella parte di mezzo suddetta, s’inalza p. quanto essa si stende, uno scoglio in altezza dal piano della Piazza di ventiquattro palmi circa, e di trenta dal fondo del Vascone, o ricettacolo delle acque, dove ha il suo nascimento, il quale fra le sue rotture, e caverne lascia in alcune parti scoperto un gran zoccolo bugnato, che colla sua cimasa ne supera l’altezza, quasi che dall’Arte fosse stato così, come si vede, incominciato a lavorare, e cavare dallo scoglio, e sopra i suoi risalti sostiene un Ordine Corintio di quattro Colonne di cinque palmi, e mezzo di diametro, risaltate sino alla cima di tutto l’ordine medesimo, e di altretanti mezzi pilastri ad esse uniti, il quale uscendo in fuori verso la Piazza, fà, che li due fianchi detti di sopra, li quali formano Palazzo, rimanghino più indietro di esso per uno spazio di circa dodici palmi. Il sudetto Ordine Corintio unito ad un Attico, che ha di sopra, terminante col balaustro, forma un altezza di cento diecidotto palmi, la quale supera i due fianchi, quanto è necessario, che essa faccia, affinché la parte, che serve, et adorna il Soggetto principale dell’opera, rimanga, per quanto risguarda l’Architettura, più eminente, e maestosa delle altre. Per la sua larghezza poi, rimane diviso dalle quattro Colonne, e mezzi pilastri sudd. in tre parti, delle quali quella di mezzo il doppio maggiore delle altre due laterali, contiene un Nicchione, la di cui volta riquadrata, arricchita d’intagli, e fiori di varie sorti, viene sostenuta da altre quattro Colonne isolate di grossezza di tre palmi, et un quarto d’ordine Ionico-composito, co’i contropilastri a ciascheduna di esse, e cornice architravata al di sopra, la quale và a terminare sopra una fascia, che forma riquadro d’intorno all’arco esteriore della Nicchia medesima, e facendosi poscia rivedere col suo ricorso nelle parti laterali, le divide in maniera, che in esse lascia sotto di sé due altre nicchie quadrate, e fà sostegno al di sopra a due riquadri corrispondenti, ornati intorno di cornice intagliata.
Li due fianchi, li quali, siccome abbiam detto di sopra, formano parte del Palazzo dell’Eccellentissima Casa Conti, sono composti di quattro appartamenti, ciascheduno dei quali contiene tre fenestre, con pilastri d’ordine Corintio fra esse interposti, simili, e ricorrenti in tutti i membri con l’altro della parte di mezzo, non solo per quanto appartiene all’Architettura, mà ancora ad un Bassamento, parte bugnato, e parte rustico di scogli, simile al già detto di mezzo, scherzato in più luoghi con varie erbe, e con alcuni pezzi di masso, altri de’quali stanno quasi minacciando rovina, et altri già distaccati, si vedono caduti sopra un terrazzo, che stendosi per più palmi sopra la Piazza, forma piede al medesimo basamento. Il sudetto Scoglio terminando negli angoli dei due Palazzi, contiene dentro le sue cavità le fenestre del piano terreno, sopra le quali s’inalza in alcuni luoghi con varie punte, e prominenze, vedendosi alcune di dette fenestre già lavorate, e cavate in esso dall’arte, con un semplice rustico ornato di bugne all’intorno, rimanendo le altre in sembianza più di naturali, che di artificiose aperture di caverne. Degli altri tre ordini di fenestre superiori, due rimanendo compresi in tutta l’altezza de’pilastri, il primo è adornato di colonne d’ordine dorico in tutte le sue parti, alla riserva delle metope, e triglifi, terminante nella cima con frontespizio acuto; et il secondo (come che piu leggiero doveva comparire all’occhio per la vicinanza de’capitelli, et altri lavori d’intaglio ne’membri delle cornici appartenenti all’ordine de pilastri) resta arricchito per stipiti di fasce riquadrate, con mensole in cima, sopra le quali posa il resto dell’ornamento, consistente in Architrave, fregio con festone di lauro, e cornice con frontespizio circolare per ultimo termine; avendo ambedue questi ordini di fenestre sotto di se le ringhiere di balaustri, le quali formando ad esse parapetti, servono di ornamento, e di comodo a i medesimi Palazzi. Il terz’ordine componente un piano mezzanino, inalzandosi sopra il cornicione principale dell’opera, vi forma quasi un Attico con sua base, e cimasa, e frà le fenestre di esso ornate all’intorno di una semplice cornice, si rachiude un riquadro, dentro cui pende un sottil panno di basso rilievo, il quale appeso a tre chiodi, formando festone, arricchisce, e rende nel medesimo tempo leggero il detto ordine, facendo ricorso, et accordo agli altri ornamenti di tutta l’opera.
Ragioni Filosofiche, che rende Niccola Salvi dell’Invenione.
L’Oceano, la di cui statua dovrà situarsi nella Fontana di Trevi, non và certamente separato dalla serie delle altre antiche dietà, le quali, sotto la corteccia di misteriose imagini, racchiudevano sempre o utili insegnamenti di morale Filosofia, o recondite spiegazioni di naturali cose. Anzi il non ritrovarsi, che poco, o nulla adombrato da favolose invenzioni appresso quei Scrittori, a i quali è caduto in acconcio parlarne, mà chiamato bensi con nomi significanti una Potenza tanto maggiore dell’altre, quanto una causa universale può dirsi maggiore di altre particulari, ovvero de’ suoi effetti medesimi, ci fà chiaramente conoscere rappresentar esso uno di quei Primi potentissimi Agenti stabiliti frà le materali cose dagli Antichi Filosofi, come fonti, e principj d’infinite produzioni, che da essi dipendono, e per discendere al particolare di ciò, che abbiam detto: l’Oceano considerato alcune volte passeggiar per il mare sopra carro tirato dalle Balene, preceduto da i Tritoni, e seguitato da numerosa schiera di Ninfe, non altro significa, che la visibile immensa mole dell’acqua marina, radunata, e ristretta ne i vasti seni della Terra, che col nome di Mare chiamiamo, da i quali, come da propria particolar sede, e quasi a dire da una miniera perpetua ha la potenza di diffondere varie parti di se medesima, rappresentante per i Tritoni, e per le Ninfe, le quali vadino a dar alimento necessario alla materia per la produzione, e conservazione delle nuove forme, che noi veggiamo, per indi ritornar poi con un perpetuo giro a prendere un nuovo spirito, et un vigor nuovo nel suo tutto, cioè a dire nel Mare medesimo: et altre volte chiamato Padre delle cose, e fatto Figliuolo del Cielo, e della Terra, si riconosce per simbolo, non tanto della potenza operative dell’acqua, allorche si considera radunata nel Mare, quanto dell’istesse di lei attuali operazioni, quando sotto sembianza d’Umido, pervadendo da pertutto la materia, e serpendo per le sue vene, e spazj anco più angusti, si fà riconoscere per una fonte perenne dell’infinite produzioni, che veggiamo in Natura, e per una causa instancabilmente conservatrice di esse. In qualunque maniera però si concepisce l’Oceano, sará sempre vero, che ci darà l’idea di una Potenza non limitata, e circoscritta frà le materiali cose da alcuni termini; mà in tutto libera, e sempre operante in ciascheduna, benché minima, parte della materia creata, dove porta seco, distribuisce, e rende vivide le nutritive parti necessarie alla produzione delle nuove forme, e rattemperando il soverchio calore, che le distrugge, può chiamarsi l’unica perenne causa del di loro mantenimento.
L’Oceano, addunque, atteso tutto ciò, si doverà esprimere in piedi, sopra un Augusto Carro di grandi Conche marine, per significare la mobile, e sempre operativa sostanza dell’acqua, incapace di una, benché minima, quiete, a differenza della Terra, la di cui imagine si rappresenterebbe sedendo, siccome quella, che stabile, e ferma in se stessa, non altro fà, che ricevere le impressioni, che dagli Agenti esteriori, e particolarmente dall’acqua, vengono in essa formate.
Doverà in oltre avere la robusta temperatura d’un corpo ben musculoso, ma inclinante alla pinguedine, e pieno di un vivido succo, con lunga, et abondante barba nel mento, per spiegare la di lui umida, e vegetante natura, e quel potere, che ha sopra i corpi nei quali operando pacatamente, e secondo la naturale esigenza di essi, si fà capace di conservarli, accrescerli, e vestirli di nuove, e sempre utili forme; laddove per il contrario, se agisce senza un guisto equilibrio con le altre parti, che concorrono alla produzione de i corpi medesimi non si da cosa più potente di lui per distruggerli, e toglier loro tutto ciò, che di bello, e di buono sogliono in se contenere.
Per destar poi ne’ Spettatori l’idea d’un dominio affato libero, et assoluto, qual potrebbe convenire all’Universale Monarca del Mondo; la di lui testa sia coronata, e di un aria la più imperiosa, che possa darsi, traspirando dal volto a guisa dell’imagini di Giove, una certa Maestà feroce, e nel medesimo tempo Signorile, la quale venga accompagnata dalla destra tenente lo Scettro, et inalzata in atto di comandare; e dalla Sinistra, che risolutamente appoggiata sul fianco, regga nel medesimo tempo per il lembo un panno, parte del quale lo ricopra quanto all’onesta si conviene, restandone parte sopra la spalla svolazzante, e mossa dall’aria, non mai separata, e disgiunta dall’acqua, e sostenendo tutto il peso del corpo sopra il piede destro, porti il sinistro con un azione libera, e risoluta a posarsi sopra il vicino nodo delle conchiglie, che formano il Carro, accompagnando questa azione d’impero con la vivezza di tutte le altre membra, in quella guisa, che farebbe un Sovrano d’illimitato potere alla presenza de suoi Popoli, a i quali publicamente parlamentar volesse.
L’accompagnamento poi che doverà avere, siccome non può essere affatto diverso dalla natura dell’acqua, e deve necessariamente comprendere sotto di se un allegorico sentimento, che insegni le sue principali proprietà, non potendo convenirgli nel caso nostro le Balene, le quali sono proprie dell’Oceano allora solo, che si considera condotto per quei vasti mari, dove sogliono prodursi simili mostri; così doverà esser formato da due Tritoni, e due Cavalli marini, li quali siano in tal maniera situat i, che paia, che appena sorto l’Oceano dalle nascoste vene della terra, e fattosi visibile al Popolo sulla Fontana di Trevi, abbiano convenientemente fatto corte dall’una, e dall’altra parte del carro, lasciandolo intieramente scoperto nella sua principal veduta, come appunto ogni ragion vuole, che facessero i servi dinanzi a un lor Signore, il quale appena giunto, e fermato, dal Trono volesse promulgare una legge, e imporre un comando a i suoi sudditi spettatori.
Li Cavalli Marini, oltre la parte anteriore simile a i nostri terrestri, la quale siccome la più nobile d’un corpo, significa la propria sede, et il principale impero dell’Oceano sulla terra, abitazione destinata per gli uomini; e la posteriore, la quale terminando in lunga, e squammosa coda a guisa di pesce, fà vedere, che la sua potenza si stende egualmente ne i vasti, e profondi mari; doveranno ancora avere le ali sul tergo, per far conoscere l’Oceano niente meno atto a sollevarsi per l’aria, dove le di lui acque sono le produttrici di tante ammirabili cose, e così diverse, quante in essa ne veggiamo.
Di questi due Cavalli, uno doverà dar tutti i segni della maggior ferocia possibile, inalberandosi col petto, et attorcigliando ferocemente l’elevata coda, et inalzando le curvate gambe, co i crini svolazzanti per l’aria, stia gran parte fuori dello scoglio, come volesse furiosamente precipitarsi in una rottura del medesimo, e correr liberamente ad esseguire i sregolati impulsi d’un troppo fervido spirito. Ma nel medesimo tempo, uno de’ Tritoni, che si potrà situare voltato di schiena al Popolo, con a sinistra sul freno, voltadogli a viva forza la testa dalla parte opposta al suo pricipizio, e con la destra alzata in atto di percuoterlo con la buccina, reggendolo, e governandolo a viva forza, faccia conoscere, che l’acqua soverchiamente agitata, e tempestosa produce funesti effetti, e maggiori sarebbe ancora capace di cagionarne, se l’Eterna Providenza non la facesse tener ristretta dentro giusti, e convenienti limiti da una regolatrice Potenza di cause naturali, rappresentata per il Tritone.
L’altro Cavallo poi, pieno bensi di vivezza ne i moti, mà però placido, e quieto, stia in atto di passeggiar libero per l’acqua senza bisogno di chi lo governi, quasi che per se stesso sia sufficientemente instrutto dall’istinto della propria natura di tutto ciò, ch’è suo obligo di fare; spiegando così lo stato pacifico, et in calma, nel quale stando l’acqua, si rende tanto deliziosa, utile, e profittevole al mondo; et il secondo Tritone libero dall’impiego di reggere il freno del suo Cavallo, si veda quasi precorso ad annunziare la venuta dell’Oceano alle acque soggette, e tenendo con la destra la buccina in atto di suonare alla bocca, spingendo avanti la sinistra spiegata, e secondandola colla piegatura del busto, come mosso da un forte desiderio di cosa lontana, colle gote turgide, e gonfi i muscoli del petto, faccia veder lo sforzo, che esso fà per convocarle con lo strepitoso suono della medesima buccina e rendere il doveroso tributo all’Oceano.
Tutto il discritto gruppo, essendo ragionevol cosa, che qualunque sogetto si prenda ad esprimere, sia posto in un luogo ad esso connaturale, e conveniente; cosi doverà esser situato dentro una mole d’acqua, la quale sorgendo a grossi bollori, tanto dal Carro dell’Oceano, quanto d’intorno a i Cavalli et a i Tritoni, quasi che dovunque essi vadino, portino seco la sorgente dell’acqua medesima, la quale averà per conca una corona di scogli, che la circonda, la maggior parte de’quali, con naturale imitazione inalzandosi, altri sporgendo in fuori le sue prominenze, et altri declinando in varie guise, la ricevino allor, che sversa, e frangendola con urto, e con strepito la gettino spumosa nell’altra gran conca sottoposta, restando la minor parte lavorata a guisa di rustica tazza, quasi che l’Arte, siccome è concorsa nel rimanente dell’opera, cosi abbia cooperato nè i scogli ancora, per formare una propria, e decorosa sede all’Oceano, et alle sue acque, e dia luogo, che il Popolo spettatore, il quale per l’altezza de’medesimi scogli, non può commodamente mirarvi al di dentro, concepisca posarsi l’Oceano, e la di lui Corte nell’acqua, e non con irragionevole inverisimilitudine, sopra i nudi Scogli, dove non solo non potrebbero muoversi, e vivere i Cavalli, ed i Tritoni, che come pesci all’acqua appartengono, e nell’acqua devono avere il loro natural sito, mà lo stesso Oceano, il quale altro non rappresenta che l’acqua medesima. E questa è la ragione suddetta.
Siegue la descrizione dell’Edificio stesa, come sopra, da Nicola Salvi
Da tutti poi i scogli, non solo per quanto fanno basamento alla parte di mezzo, siccome abbiam detto; mà ancora sino alla metà de i due Palazzi, che formano fianco all’opera, esce da varj luoghi abondevolmente l’acqua, ora piombando libera in larga stricia ad unirsi con l’altra nella gran tazza inferiore, ora urtando, e riurtando nel cader, che essa fà, per le prominenze de’Sassi, balza ripercossa in aria disciolta in bianca spuma, et ora sorgendo a bollori per le aperte fibre dello Scoglio, scorre lambendo sempre i sassi divisa in rivoli, unendosi poi tutte nella tazza soggetta, dove mosse dal continuo impulso dell’altre cadenti, vanno placidamente ondeggianti a percuoterne il labro, il quale incominciando in ambedue le parti della suddetta metà de i Palazzi, rustico, e nascente da i medesimi scogli, come da essi cavato, esce in fuori per due linee perpendicolari alli medesimi, sopra le quali piegandosi ad angoli retti verso il mezzo, e proseguendo per non molta spazio, si rivolta poi in linea curva, formando la metà di un ellissi, d’intorno a cui, siccome anco agli altri lati suddetti, sono a coppia disposte alcune piccole colonne, che lasciando fra esse da una parte libero il passo al Popolo per accostarsi alla tazza, reggono coll’altra doppi ferri posti orizontalmente per difesa dell’opera, e commodo de Spettatori. Ne mancheremo di dire, ora, che ci cade in acconcio, che, siccome la strada, che conduce alla Chiesa dell’Angelo Custode, incominciando dolcemente a salire nel principio della Piazza di Trevi, giunta che essa è all’ angolo de Palazzo, che forma fianco alla Fontana, suddetta parte, s’inalza per più palmi sopra il rimanente piano della piazza medesima; così affine, che la sunnominata irregolarità servisse in alcuna maniera per adornamento di tutta l’Opera, e commodo del Popolo, si vedono i scogli continuar sempre descrescendo in altezza per quanto essa si stende, reggendo sopra di se un rustico balaustro, che forma parapetto alla Strada, interrotto in alcuni luoghi da punte di scogli, una delle quali maggiore dell’altre, si vede parte restarsi nella sua naturale rozzezza, e parte scherzosamente intagliata a guisa di Vaso, che piantando con parte del suo piede sopra il balaustro suddetto, s’inalza con tutto il rimanente sopra di esso, e sotto questo vaso a perpendicolo sporgendosi più, che altrove le prominenze dello scoglio, vi si vedono attorno avviticchiati due grandi Serpi, che gettando acqua dalla bocca provvedono sufficientemente al bisogno delle Case vicine.
Parlando ora dell’altre Statue sparse per l’Architettura, le quali adornano la parte principale di mezzo, alcune delle quali seguono l’Allegoria già intrapresa, esprimendo altre quanto esponemmo rispetto alla Storia, et introduzione di quest’acqua in Roma. Nella nicchia quadrata, che si vede a destra dell’Oceano è posta la Statua di Marco Agrippa, che a proprie spese arricchì la Città di quest’acqua, sopra tutte le altre eccellente, il quale guardando il Popolo spettatore, pare, che colla destra mano elevata, comandi la erezione de’ nuovi acquedotti, la quale poi si vede istoricamente scolpita in basso rilievo con figure di naturale grandezza nel riquadro già detto sopra la di lui nicchia, con diversi Artefici d’intorno all’opera impiegati, e lo stesso Agrippa, che loro impone ciò, che debbino farci; osservandosi nella aperta campagna l’acquedotto già in buona parte perfezionato. Nell’altra nicchia a sinistra dell’Oceano, è rappresentata la Vergine, la quale è fama, che per ristorare la sete di alcuni soldati di Agrippa, incontrata casualmente da essi, insegnasse loro la sorgente di quest’acqua. Stà essa vestita in abito semplice, come a rustica pastorella, (che tale forse doveva essere) si conviene, additando con una mano al Popolo l’acqua, e con l’altra al petto, pare, che voglia esprimere esserne essa stata l’Inventrice. Questo medesimo fatto rimane particolarizzato col basso rilievo nell’altro riquardo simile al già detto sopra la di lei nicchia, dove sono espressi diversi Soldati, uno dei quali si vede prender l’acqua colla celata, un altro più stimolato dalla sete, la sugge impazientemente colle labra dalla propria sorgente, et altri attentamente ascoltano la Vergine, che loro l’insegna. Sopra l’ordine delle quattro colonne, che, come dicemmo, formano il Prospetto principale dell’opera, sono poste in piedi le Statue di quattro Vergini rappresentanti ne’i simboli, che hanno nelle mani, quattro delle primarie, e più utili produzioni, che si fanno nella terra col mezzo dell’acqua, tenendo la prima delle due di mezzo alcuni fasci di spiche di grano, e la seconda grossi grappoli di uve, accompagnata da una tazza, che rassembra piena di generoso vino; e delle altre, l’una si vede col Cornucopia pieno di varie frutta; essendo la quarta coronata di fiori, e col grembo di essi ripieno. Fra le due di mezzo delle sudette quattro Statue, dentro un gran riquadro di marmo, è incisa la Memoria di Nostro Signore Clemente XII. felicemente regnante del seguente tenore: Clemens XII. P.M. / Aquam Virginem / Copia et Salubritate commendatam / cultu magnifico ornavit / Anno Domini MCCCXXXVI / Pont. VI.
Per ultimo termine, e finimento dell’opera, sopra la detta lapide si erge la grand’Arma di Sua Santità nascento da due cartelle ornate di festoni di fiori, e volute, le quali inalzandosi dal lato della medesima, nelle estremità esteriori fanno sostegno a due Fame, l’una delle quali insegnando l’arma, e l’altra suonando la tromba, propagano al Popolo la gloria del nostro Principe, in tante, e cosi grandi opere da lui magnificamente intraprese.
Appendix 2: Documents Describing the Trevi by Nicola Salvi
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